La Nascita della Fisica Teorica in Italia


È conoscenza comune che la nascita della fisica come scienza propriamente detta risale all'inizio del XVII secolo, grazie alla formulazione del metodo sperimentale ad opera del grande Galileo Galilei. Fondamento di ogni scienza doveva essere, infatti, l'interrogazione della Natura, operata tramite esperimenti eseguiti con strumenti atti ad intendere il linguaggio usato dalla Natura nelle sue risposte, i cui caratteri – come realizzato dallo stesso Galilei – sono “triangoli, cerchi ed altre figure geometriche”, ossia il linguaggio matematico. A questa prima fase, deve poi seguire l'interpretazione dei risultati ottenuti, con l'elaborazione di una teoria atta a spiegarli, teoria le cui predizioni dovranno poi essere sottoposte ad ulteriore conferma sperimentale che ne verifichi la validità. Tale metodo è ancora oggi seguito nella ricerca in fisica, e i risultati raggiunti negli ultimi quattrocento anni, confrontati con quelli ottenuti in precedenza, rivelano tutta la genialità dell'intuizione galileiana.

La fisica nasce, dunque, come fisica sperimentale che investiga sui fenomeni naturali che ci circondano. Che cosa intendiamo allora per fisica teorica?

Un illuminante esempio per spiegare il concetto di teoria, non necessariamente congiunto all'idea di fisica come scienza galileiana, può essere attinto dalla ben nota teoria cosmologica aristotelico-tolemaica, universalmente accettata in Occidente per tutto il Medioevo cristiano. L'intento era quello di descrivere l'Universo visibile nella sua interezza, basando la detta teoria sul modello geocentrico in cui la Terra era posta al centro dell'Universo, tutti gli altri corpi celesti ruotando attorno ad essa. L'osservazione diretta ed evidente proprio del moto del Sole attorno la Terra, può ben considerarsi come semplice base sperimentale di tale teoria, ma furono i perfezionamenti del modello in termini di epicicli e deferenti operati da Claudio Tolomeo nel II secolo d.C. (tratti da Ipparco, del II secolo a.C.), atti a spiegare i “dettagli”, ovvero le irregolarità, del moto dei pianeti, che assicurarono alla teoria aristotelico-tolemaica una indubbia quanto notevole precisione nelle previsioni astronomiche. La teoria copernicana apparsa nella prima metà del XVI secolo, basata su una ipotesi eliocentrica in cui il Sole soppianta la Terra al centro dell'Universo, ipotesi già introdotta nella Grecia antica, può essere vista come una semplice alternativa – senza alcuna ulteriore validazione sperimentale – alla teoria geocentrica. Una teoria, dunque, può essere intesa come un costrutto (anche matematico) atto ad interpretare coerentemente, in una visione generale, una moltitudine di fenomeni particolari, basandosi su quelli che possono essere chiamati pregiudizi teorici. Le prove apportate, ad esempio, nel tardo Medioevo per sostenere il sistema aristotelico-tolemaico erano essenzialmente basate su deduzioni da precetti e testi sacri, mentre il punto di forza del sistema eliocentrico era, proprio nel pensiero originale di Copernico, quello di impostare una teoria in termini tali da ridurre la complessità dei calcoli necessari a prevedere le posizioni dei pianeti.

Le teorie fisiche, oggetto della fisica teorica, tendono anch'esse a fornire un quadro generale di un insieme di fenomeni correlati basandosi su pregiudizi teorici, ma la differenza con gli esempi portati sopra risiede nel ruolo fondamentale dato alle osservazioni sperimentali, secondo il precetto galileiano. Al di fuori di tale precetto vi sono soltanto teorie filosofiche o, in ambito strettamente scientifico, teorie matematiche, che sono eventualmente oggetto della fisica matematica piuttosto che della fisica teorica. Un'esempio di quest'ultimo tipo è la ben nota teoria delle stringhe, argomento attraente di divulgazione scientifica contemporanea.

Non è forse inutile sottolineare, al lettore meno avveduto, che, in fisica, l'accezione vagamente negativa di pregiudizio teorico non sussiste affatto, e un esempio può ben chiarire la situazione. Nello studio del movimento dei corpi, una delle prime nozioni fondamentali da introdurre è quella del concetto di velocità. Quando un corpo è più veloce di un altro? Evidentemente quando esso percorre più spazio nello stesso tempo oppure lo stesso spazio in minor tempo. In modo naturale, quindi, la velocità può definirsi tramite il rapporto tra lo spazio percorso nell'unità di tempo, e non sussistono alternative a tale definizione. La situazione è invece diversa quando si vuole introdurre il concetto di accelerazione per descrivere la variazione di velocità di un corpo. Quando un corpo accelera più di un altro (ossia varia maggiormente la sua velocità)? Nei suoi studi sul moto di discesa di un corpo lungo un piano inclinato, Galilei si trovò difronte a due possibili alternative per definire l'accelerazione, poichè e' evidente che man mano che il corpo scende lungo il piano inclinato esso aumenta la sua velocità, ma questa aumenta parimenti all'aumentare del tempo di discesa. L'accelerazione potrebbe allora essere definita sia come variazione della velocità per unità di spazio percorso che come variazione di velocità per unità di tempo trascorso. Non sfuggirà a chi ci legge che la prima possibile definizione ha un grado di naturalezza maggiore della seconda, e lo stesso Galilei avrà trovato certamente più agevole misurare lo spazio percorso piuttosto che il tempo trascorso nel moto di discesa. Tuttavia, i risultati ottenuti dai suoi esperimenti sul moto di caduta lungo un piano inclinato indussero Galilei a formarsi un pregiudizio teorico: infatti, tale moto risultò essere uniformemente accelerato nel senso che la velocità in discesa aumentava proporzionalmente al tempo di discesa, e non rispetto allo spazio percorso. Se, dunque, l'accelerazione venisse definita seguendo la prima delle alternative di cui sopra, la descrizione teorica del moto sarebbe più complicata, seppur ugualmente valida. Il pregiudizio teorico che indusse Galilei a scegliere la seconda alternativa fu dunque quello della semplicità (opportunamente intesa), e tale scelta ha rivelato tutta la sua efficacia fino ad oggi.

Galilei, però, pur avendo descritto teoricamente il moto lungo un piano inclinato (e molti altri fenomeni),  non può considerarsi un fisico teorico nell'accezione data in precedenza. La descrizione esaustiva di tutti i moti della meccanica venne, infatti, tempo dopo, grazie alla formulazione dei fondamentali principi della dinamica ad opera di Isaac Newton, che servirono sia per la spiegazione di moti semplici, come quelli studiati da Galilei (oggi conosciuti come moti di un punto materiale), che per moti più complessi (di corpi estesi), per i quali si rese necessario lo sviluppo di strumenti e formulazioni matematiche più complesse, che avvenne dalla seconda metà del XVIII in avanti grazie soprattutto all'opera dei meccanici razionali francesi. Il mirabile paradigma della teoria meccanica newtoniana ha lasciato la sua impronta indelebile fino ad oggi, e rimase unico esemplare fino alla seconda metà del XIX secolo. La moderna fisica teorica, tuttavia, si fa risalire alla teoria elettromagnetica formulata da James Clerk Maxwell nel 1865. Qui il fisico scozzese elaborò un'unica teoria in grado di spiegare tutti i fenomeni elettrici e magnetici, allora ritenuti intrinsecamente diversi, che così vennero ad essere interpretati come diverse manifestazioni di un'unica entità fisica, il campo elettromagnetico. Non è questa la sede per discutere i maggiori risultati e pregi della teoria maxwelliana (tra i quali la sostituzione, nella trasmissione della forza da un corpo ad un altro, del concetto di azione a distanza, tipicamente newtoniano, con quello di azione per contatto, tramite l'introduzione del concetto di campo). Qui si vuole però sottolineare il tratto saliente di ciò che diventerà paradigmatico nelle teorie fisiche moderne: da un lato,   l'unificazione della descrizione di fenomeni apparentemente diversi (elettricità e magnetismo), e, dall'altro, la potenza predittiva della teoria, capace sia di descrivere anche tutti i fenomeni ottici in termini di azioni elettromagnetiche che di prevedere l'esistenza di onde elettromagnetiche non di origine luminosa (rivelate poi nel 1887 negli esperimenti di H. Hertz).

La rivoluzionaria teoria della relatività di Albert Einstein è la successiva tappa fondamentale nella storia della fisica teorica, ma qui, dopo aver tentato di chiarire il significato che viene dato a tale materia di studio, è utile passare ormai all'argomento principale della presente trattazione. Quando nasce la fisica teorica in Italia?

Sebbene lo studio dei fenomeni fisici nel nostro paese sia proseguito ininterrottamente dai tempi di Galilei fino ad oggi, per oltre due secoli e mezzo la genialità galileiana non ha trovato valida espressione negli scienziati italiani (eccetto, forse, la breve parentesi di Alessandro Volta tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo) fino agli anni '20 dello scorso secolo, quando si affermò all'attenzione mondiale l'opera del ventenne Enrico Fermi. L’estensione e il riconoscimento dei suoi contributi scientifici in quasi ogni campo della fisica è un dato che rivela di per sé l’importanza che tale scienziato ha ricoperto nella storia della scienza del XX secolo: teoria di Fermi del decadimento beta, costante di accoppiamento di Fermi, interazione di Fermi, statistica di Fermi-Dirac, fermioni, gas di Fermi, liquido di Fermi, modello di Thomas-Fermi, energia di Fermi, mare di Fermi, regola aurea di Fermi, meccanismo di accelerazione di Fermi, pila di Fermi, paradosso di Fermi, fermi (unità di lunghezza), Fermio (elemento chimico), ecc., ne sono solo alcuni esempi.

Le qualità eccezionali di Fermi (nato nel 1901) furono riconosciute sin dagli anni dei suoi studi universitari alla Scuola Normale Superiore di Pisa, e non solo dai suoi compagni di studi, ma anche dai suoi stessi insegnanti. Il professor L. Puccianti, ad esempio, chiese al suo giovane allievo di tenere per lui delle lezioni sulla teoria della relatività di Einstein, da poco affermatasi. Dopo aver ricevuto la laurea in Fisica, Fermi vinse una borsa di studio per continuare i suoi studi all’estero, recandosi prima all’Università di Gottinga, da M. Born, e poi (nel 1924) in Olanda, a Leida, per lavorare con P. Ehrenfest. Tornato in Italia nel 1924, incominciò ad insegnare prima all’Università di Roma e poi, nel 1925, a quella di Firenze, dove ritrovò il suo amico F. Rasetti. Fermi e Rasetti costituirono qui una squadra formidabile per la ricerca sugli argomenti più attuali e importanti della fisica: Fermi era insuperabile soprattutto nel dominare la teoria sottostante agli esperimenti che venivano genialmente ideati e condotti brillantemente soprattutto da Rasetti.

Il periodo fiorentino di Fermi vide uno dei suoi più grandi contributi alla fisica teorica: la scoperta delle leggi statistiche (statistica di Fermi-Dirac) che governano le particelle soggette al principio di esclusione di W. Pauli (come elettroni, protoni, neutroni, ecc.). Tali particelle vengono ora generalmente indicate con il nome di fermioni.

Intanto, tornando spesso a Roma, Fermi cominciò a frequentare più intensamente l’Istituto di Fisica dell’Università, sito in Via Panisperna, diretto da Orso Mario Corbino. Questi realizzò ben presto che Fermi era la persona giusta per far partecipare attivamente anche l’Italia alle “rivoluzioni” scientifiche allora in atto, riguardanti, in generale, la fisica dell’atomo e del suo nucleo. Facendosi forte anche della sua influenza politica, nel 1926 il senatore Corbino riuscì allora a ottenere la creazione della cattedra di fisica teorica, la prima in Italia, assegnata per unanime consenso a Fermi, il quale nell’autunno dello stesso anno si trasferì a Roma. Il secondo passo del senatore Corbino fu poi quello di portare, nel 1927, anche Rasetti da Firenze a Roma, dando così inizio a quel mirabile gruppo di lavoro noto come “ragazzi di Corbino” o “ragazzi di Via Panisperna”. Sotto la guida di Fermi e Rasetti, infatti, nel corso dei successivi anni si unirono tanti giovani che diedero dei contributi eccezionali alla fisica del XX secolo: E. Segrè, E. Amaldi, E. Majorana, G. Gentile jr, G.C. Wick, B. Pontecorvo ed altri.

L’affermazione a livello mondiale della neonata scuola di fisica di Roma avvenne rapidamente, grazie anche alle frequenti visite dei suoi membri ai centri di ricerca più avanzati all’estero, tese sia a impossessarsi delle più recenti tecniche sperimentali che a intessere una rete di rapporti internazionali. Il processo funzionò efficacemente, e negli anni ’30 moltissimi fisici teorici di primo rango visitarono l’Istituto di Roma, che nel 1931 organizzò una memorabile Conferenza di Fisica Nucleare. In questi anni, infatti, dopo aver ottenuto degli importantissimi risultati nel campo della fisica atomica, Fermi e il suo gruppo spostarono i propri interessi allo studio del nucleo atomico, così come stava avvenendo negli altri centri internazionali.

I problemi che si stavano allora affrontando dopo la scoperta del neutrone, nel 1932, da parte dell’inglese J. Chadwick (anticipata, sebbene non pubblicata, da E. Majorana), riguardavano principalmente la radioattività di alcuni nuclei indotta dal bombardamento con particelle alfa. Fermi e il suo gruppo compresero che tale processo era molto più efficiente se al posto delle particelle alfa fossero usati neutroni. Con tale procedimento, essi crearono circa una quarantina di nuovi elementi radioattivi. Ben presto, però, osservarono anche un effetto inaspettato di alcune sostanze leggere, come acqua o paraffina, in cui la loro presenza intensificava notevolmente la radioattività dell’elemento bombardato. In meno di un giorno Fermi riuscì a trovare la spiegazione di tale fenomeno, che si rivelò fondamentale per i successivi sviluppi riguardanti la fissione nucleare.

Un altro e ancor più importante risultato nel campo della fisica nucleare venne nel 1933, quando Fermi elaborò una teoria completa del decadimento beta di un nucleo, in cui è emesso un elettrone, dando finalmente una spiegazione dettagliata e coerente dei fatti sperimentali relativi a tale processo. Fermi mostrò che gli elettroni erano creati nello stesso istante in cui erano emessi (ossia, non erano contenuti nel nucleo originario), contestualmente all’emissione di un’altra particella neutra, che Fermi chiamerà poi neutrino (la cui esistenza sarà dimostrata direttamente solo dopo cinquant’anni). Tale teoria si rivelerà talmente fondamentale, che sarà applicata ad altre trasformazioni di particelle instabili, e sarà presa a modello di tantissime altre teorie fisiche.

Il contributo scientifico alla fisica mondiale svolto da Fermi negli anni ’30 gli valse l’assegnazione del premio Nobel per la fisica nel 1938. Sfortunatamente, però, proprio nell’autunno di tale anno s’intensificarono in Italia le restrizioni anti-semite susseguenti all’alleanza italo-tedesca, che misero in una posizione preoccupante la moglie di Fermi, Laura Capon, di nascita ebrea. Egli decise allora di accettare un’offerta della Columbia University di New York e, cogliendo l’occasione del ritiro del premio Nobel a Stoccolma, nel dicembre del 1938 lasciò definitivamente l’Italia per approdare negli Stati Uniti. Anche qui i suoi contributi furono fondamentali per lo sviluppo della fisica, e il primo progetto in cui si impegnò fu, prima, quello della realizzazione della prima pila atomica capace di produrre una reazione nucleare a catena controllata e, poi, quello della costruzione di una bomba atomica che impiegasse l’enorme quantità di energia rilasciata durante un processo a catena. Per unanime riconoscimento, anche per tale progetto il suo apporto fu totalmente decisivo. Basti menzionare che egli fu messo a capo della Divisione F (F stando per Fermi) del Progetto Manhattan, il cui compito peculiare era quello di risolvere i problemi che le altre divisioni non riuscivano a risolvere…

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Fermi ritornò a lavorare all’Università di Chicago, dove si dedicò soprattutto a una nuova branca nascente della fisica, quella delle particelle elementari, impegnandosi sugli esperimenti (e la loro interpretazione teorica) condotti con i neonati acceleratori ad alta energia. Alla fine degli anni ’40, Fermi cominciò poi anche a sviluppare degli interessi nelle macchine calcolatrici elettroniche che si stavano allora affermando (la loro prima realizzazione fu connessa proprio al lavoro per il Progetto Manhattan durante la guerra), nelle cui enormi potenzialità di calcolo lui intravedeva un’opportunità unica per la risoluzione numerica di complicati problemi che non ammettevano soluzione matematica. Anche qui fu, quindi, un pioniere.

L’opera instancabile di Fermi, tuttavia, non si esaurì nella ricerca scientifica, ma fu sempre anche rivolta alla formazione di nuovi fisici, le sue lezioni e il suo modo di insegnare divenendo leggendari per la sua estrema chiarezza. A testimonianza del suo successo anche in quest’attività, basterà ricordare che ben sette dei suoi studenti (E. Segrè, M. Gell-Mann, J. Steinberger, C.N. Yang, T.D. Lee, J. Friedman, J. Cronin) sono stati insigniti del Premio Nobel per la fisica, e una quantità innumerabile di contributi rilevanti sono stati ottenuti da suoi studenti grazie al suo esempio e alle sue lezioni.

La nascita della fisica teorica in Italia, tuttavia, non vide Fermi come unico (sebbene primo) attore principale, ma nuove giovani menti – tutte formatesi alla sua scuola romana – incominciarono ad affermarsi sin dalla fine degli anni '20. Sebbene parecchi nomi andrebbero annoverati tra i primi continuatori della fisica teorica italiana (tra i quali non possono non ricordarsi almeno quelli di G. Gentile jr, G.C. Wick, G. Racah, B. Pontecorvo e altri), la presente trattazione sarebbe monca se non si ricordasse la singolare opera di Ettore Majorana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La fama di tale personaggio è resa bene dalle parole dello stesso Fermi, raccolte da un altro dei suoi studenti, G. Cocconi, nel 1938, quando Majorana scomparì misteriosamente: “Fu allora che Fermi, cercando di farmi capire che cosa significasse tale perdita, si espresse in modo alquanto insolito, lui che era così serenamente severo quando si trattava di giudicare il prossimo. Ed a questo punto vorrei ripetere le sue parole, così come da allora me le sento risuonare nella memoria: “Perchè, vede, al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C'è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza” (e qui ho netta l'impressione che in quella categoria volesse mettere se stesso). “Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene, Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha.

Per apprezzare immediatamente quanto riconosciuto da Fermi, basterà ricordare l'episodio del primo incontro tra Majorana (nato nel 1906) e Fermi, avvenuto alla fine del 1927, così come ricordato dai testimoni di quell'evento, Amaldi e Segrè. Giunto nello studio di Fermi, questi incomincia ad esporre a Majorana le ricerche che stava compiendo in quel periodo. ossia il modello statistico degli atomi, che diverrà noto come modello di Thomas-Fermi. La caratterizzazione degli atomi pesanti in questo modello era subordinata alla conoscenza di una funzione matematica, soluzione di una complicata equazione di cui Fermi (e, poi, altri) non era stato in grado di risolvere. Fermi, però, che di certo non era aduso a indietreggiare di fronte a difficoltà matematiche, trovò una soluzione approssimata all'equazione e compilò una tabella di valori numerici per essa. Quel giorno, dunque, Majorana ascoltò con diligenza quanto esposto da Fermi, anche chiedendo ulteriori chiarimenti, dopodichè lasciò l'Istituto. Il mattino seguente, Majorana si presentò di nuovo nello studio di Fermi e gli chiese di poter vedere nuovamente la tabella che aveva intravisto il giorno prima, per confrontarla con un'analoga tabella da lui calcolata a casa nella notte precedente. Constatato che le due tabelle erano in pieno accordo fra di loro, disse che la tabella di Fermi era corretta e, uscito dallo studio, se ne andò dall'Istituto. Ciò che può sembrare poco più di un gustoso aneddoto, è tuttavia stato sottoposto negli ultimi anni ad una accurata verifica sul piano scientifico e, sorprendentemente, si è riscontrato che il frutto di quella notte di lavoro andava ben oltre quanto ottenuto (approssimativamente) da Fermi in una settimana di lavoro o da Thomas in un mese. Infatti, Majorana ottenne la soluzione esatta di quella equazione complicata, utilizzando un metodo da lui inventato che – si è scoperto – può essere applicato ad un'intera classe di problemi matematici, questi ed altri risultati non essendo stati ottenuti da alcun altro per più di settant'anni.

Majorana diede dei contributi teorici notevoli alle ricerche del gruppo guidato da Fermi, ma le sue intuizioni più lungimiranti vennero indipendentemente dai lavori compiuti da quel gruppo. Se il nome di Majorana si affermò negli anni '30 grazie al suo personale contributo dato alla comprensione della fisica del nucleo atomico mediante ciò che poi venne battezzato come forze di scambio di Majorana-Heisenberg, oggi il suo nome è indissolubilmente legato all'ipotesi del neutrino di Majorana. Tale ipotesi fu rivoluzionaria per i suoi tempi (e, infatti, fu riconsiderata solo alcuni decenni più tardi), poichè ammetteva che l’antimateria corrispondente ad una data particella potesse coincidere con la particella stessa, in aperta contraddizione con quanto aveva assunto P.A.M. Dirac pochi anni prima nella teoria quantistica dei campi, e che portò alla scoperta del positrone. Con una lungimiranza senza precedenti, Majorana suggerì che il neutrino, la cui esistenza era appena stata ipotizzata da Pauli e Fermi per spiegare le strane proprietà del decadimento beta, potesse essere proprio una siffatta particella, rendendo quindi unico il neutrino tra tutte le particelle elementari. È particolarmente interessante notare che ancora oggi, a più di settant'anni di distanza, molti esperimenti sono rivolti a rivelare tali particolari proprietà in diversi campi della fisica.

A questi due soli contributi che sono stati qui ricordati, se ne potrebbero aggiungere altri tra quelli che Majorana decise di rendere noti alla comunità internazionale, che pure testimoniano le sue non comuni doti di fisico teorico. Tuttavia, tutti questi, sebbene di altissimo valore, non sembrano giustificare pienamente l'affermazione sulla genialità di Majorana sopra menzionata ed espressa da Fermi, che ben conobbe la sua opera. Siffatta genialità, invece, è completamente rintracciabile – ed esattamente nei termini espressi da Fermi – guardando ai risultati inediti ottenuti da Majorana, mai pubblicati ma, fortunatamente, conservati nei suoi appunti personali di studio e ricerca, che solo da pochi anni sono stati divulgati. Tali appunti sono una vera miniera di preziosissimi contributi nei più disparati campi della fisica, con risultati o completamente nuovi o che anticipano di decine di anni quanto ottenuto indipendentemente da altri fisici teorici di primissimo piano. Un esempio è appunto quanto descritto sopra a proposito dell'equazione di Thomas-Fermi. Chi scrive, che da molti anni è stato testimone diretto del disvelamento di tali contributi, e che quindi dovrebbe ormai essere avvezzo a sorprendenti novità o anticipazioni, è invece recentemente rimasto ancora una volta sbalordito da alcuni risultati riguardo le equazioni relativistiche della meccanica quantistica, ottenuti da Majorana nel 1932, e che non solo anticipavano risultati raggiunti anni dopo, ma la cui deduzione anticipava addirittura la linea di ragionamento formatasi negli anni seguenti solo grazie al contributo di ragionamenti diversi di diversi autori in tempi diversi.

Alla fine degli anni '30 dello scorso secolo, dunque, la fisica teorica aveva finalmente gettato le sue basi anche nel nostro paese, e, grazie soprattutto all'opera di Fermi e dei suoi successori, essa ha prodotto risultati significativi sino ai nostri giorni. La comprensione più profonda del mondo che ci circonda, non solo affidata alle osservazioni sperimentali, passa anche attraverso i contributi teorici di molti fisici italiani, che quotidianamente sono impegnati nel decifrare i segreti che la Natura ci offre nel linguaggio da essa utilizzato, la matematica.

 

Letture consigliate

E. Segrè, Enrico Fermi, fisico, Zanichelli, 1987.

S. Esposito, La cattedra vacante, Liguori, 2009.